Testimonianze – Busato Dario – Dachau – Germering

Testimonianza di Dario Busato

(manoscritto stilato in data 12 settembre 2020).

Nei primi mesi dell’anno 1944, i nati nel primo semestre del 1926 furono obbligati al lavoro (coatto) in Germania.

Dario sul Ponte Navi nei primi anni '40
Dario sul Ponte Navi nei primi anni ’40

All’epoca io avevo 18 anni, figlio unico e ancora coccolato dai genitori. Convinto di essere esonerato (per un certificato medico che mi considerava malato di cuore) mi presentai al luogo di raccolta nei pressi di Palazzo Miniscalchi, da dove ovviamente fui subito ingaggiato e la stessa sera portato alla stazione e avviato (con un treno viaggiatori) verso nord.

Il viaggio fu lungo ma abbastanza confortevole. Impiegammo due giorni e una notte attraverso il Tarvisio, per giungere a Monaco di Baviera. Da lì arrivammo ad una località che, a noi non disse niente sul momento, era DACHAU!

Ci sembrò un normale posto di raccolta: passammo il famoso cancello (sormontato dal non meno famoso “Arbeit macht frei”) e incrociammo un gruppo di persone vestite con strani pigiami di cui uno in italiano ci disse: “Guardate bene questo cancello perché non ne uscirete più”. Io restai un po’ perplesso e pensai “quello è matto”. Non mi resi conto di quanto c’era andato vicino alla realtà.
Fummo sistemati in alcune baracche, confinanti con il campo vero e proprio, munite di letti a castello con specie di materassi di paglia. Ci consegnarono una fetta di pane scurissimo ed una ciotola di una brodaglia orrenda e puzzolente. Io trangugiai quel pezzo di pane e mi accovacciai e subito presi sonno.
L’indomani fummo portati a Monaco e fummo adibiti alla raccolta di mattoni tra le macerie di un recente bombardamento. Dovevamo pulirli dai residui di calce e sistemarli su un carro. Il lavoro non era pesante ma assai pericoloso per la caduta di muri e la scoperta di ordigni esplosivi. Così trascorsi la giornata con una breve sosta, la consegna di un po’ di pane ed un intruglio quasi immangiabile formato da pezzi di non si sa che di colore rossastro e bianco.
Per una decina di giorni continuammo quella attività accompagnata dal terrore di incursioni aeree che quasi quotidianamente avvenivano sulla città.
La fortuna mi è sempre stata accanto, le bombe caddero sempre lontano, io ero sempre affamato ma in salute e sopportai bene tutto ciò che mi accadeva.
Ora devo raccontare un fatto che allora, ma anche adesso, considero miracoloso! In baracca eravamo comandati da un individuo odioso che gli ordini li gridava (nella sua lingua) anzi più che gridare lui abbaiava. Quella sera, dopo una giornata particolarmente pesante, me lo vidi venire verso di me urlando come suo solito e brandendo la ciotola con l’intruglio immondo che io regolarmente rifiutavo. Non so se per caso o intenzionalmente, tra una imprecazione e l’altra, mi rovesciò addosso il contenuto. Io persi completamente la testa, afferrai un pesante sgabello e mi avventai furioso verso di lui. Senonché in quell’attimo vidi tutto nero e caddi lungo disteso.
Sicuramente fu la mano di Dio ad intervenire. Quando rinvenni i compagni mi dissero che il kapò (così lo chiamavano) non si era reso conto di nulla dato che il mio gesto sconsiderato si svolse mentre usciva dalla porta. Fosse andata diversamente ora non sarei qui a raccontare.

A Dachau ci restammo ancora un’altra settimana, nella quale assistetti ad una scena sconvolgente .
Ormai avevo immaginato che là, oltre al muro, accadessero cose brutte. Da strani rumori, da grida di comando da lamenti ed anche da qualche sparo.
Una mattina, prima di partire per Monaco, volsi lo sguardo oltre la rete che ci separava da un lato del campo e vidi avanzare verso sinistra molte persone con una andatura lenta, strascicata. C’era un silenzio mortale. Mi passarono a pochi metri e potei intuire meglio la loro disperazione. Erano vecchi, donne di ogni età ed anche bambini. La fila larga cinque, sei persone, non finiva.
Andai al lavoro con quella visione nella testa per tutto il giorno. Al ritorno al campo la sera, la stessa scena. Continuò così per tre giorni.
Dove andavano? mi chiesi. Erano sicuramente anche affamati, per cui supposi fossero diretti verso le cucine, che intravvedevo tra gli alberi, per essere rifocillati, c’erano anche due alti camini sempre fumanti… Non riuscivo a scacciare dalla testa quella scena non solo allora, mai dimenticai quell’orrore!
Anche ora, a decine di anni di distanza, di sovente me li vedo lì davanti che camminano. Il ricordo mi perseguita e mi turba sino alle lacrime. Anni dopo il ritorno a casa feci molte ricerche sugli avvenimenti passati. Quei poveretti erano ebrei ungheresi.

Passò una settimana e finalmente fummo mandati in un paese ad ovest di Monaco. Si chiamava Germering.
Fummo sistemati in una baracca con i soliti letti a castello privi di materasso. Ci consegnarono un documento, la tessera ed anche qualche Marco per comprare il cibo. Ci sembrò subito una sistemazione molto bella, se non fosse che si andava a lavorare in un campo d’aviazione poco distante, continuamente preso di mira dagli aerei inglesi.
Il nostro compito consisteva nell’aggiustare i capannoni e coprire le buche nella pista tra un allarme e l’altro. I pericoli a cui si andava incontro erano tanti poiché non era un vero campo d’aviazione ma una pista circondata da capannoni dove si aggiustavano gli aerei colpiti ma soprattutto si eseguivano prove di volo di nuovi aerei anche a reazione. Gli alleati ne erano al corrente e le incursioni erano quasi giornaliere.
Durante i lavori cui ero destinato correvo dei rischi a volte gravi, come ad esempio la caduta di ghiaia che mi sommerse quasi completamente e per poco non rimasi soffocato. In un’altra occasione, mentre ero addetto al trasporto di lamiere ondulate sul tetto di un capannone, sentii alleggerirsi la catena, alzai la testa e vidi la lamiera sganciata che mi volava addosso. Feci un passo indietro e nel frattempo, con un boato tremendo, la lamiera mi si accartocciò ai piedi! Inorridito dal terrore mi toccai il corpo e constatai che il taschino della tuta era stato tranciato di netto! Ringraziai Dio per quello che fu un miracolo!

Eravamo ormai ai primi dell’anno 1945 e notai strani movimenti fuori il campo, strane colonne di lavoratori che si dirigevano a Sud sfuggendo all’avanzata dei russi. Cominciai a pensare ad una eventuale fuga, conscio della fortuna che mi andava accompagnando sino allora! Mi preparai una specie di zaino che riempii di pezzi di pane, qualche patata cotta ed altro che sottraevo al poco cibo giornaliero.
Durante una notte del mese di aprile uscii da un buco nella rete di recinzione e cominciai a camminare. Giunsi a Monaco e senza pensare ai rischi, salii su un vagone ferroviario (favorito dal caos provocato da una recente incursione aerea) e (qui la fortuna continuò a favorirmi) fui svegliato dal torpore che m’aveva colto e dall’arresto del treno per un guasto alle rotaie. Miracolosamente ero giunto nei pressi di Innsbruck. Non fui mai fermato da guardie o controlli! Ripresi a camminare e qui la memoria non mi aiuta. Da quel momento i ricordi si fanno nebulosi. Ricordo momenti di estrema stanchezza e di strani trasporti su carri trainati da buoi. Altri brevi viaggi su camion con altri ex lavoratori come me. Purtroppo la mente non mi aiuta per quanto mi sforzi.

Ricordo l’arrivo, in una confusione grandissima, al Brennero. Là ci si doveva presentare a dei controllori tedeschi per una eventuale destinazione. Ormai era notte, vidi oltre alcune costruzioni un cartello con la scritta ITALIA! Da quel momento persi ogni senso di prudenza, mi sentivo quasi a casa! Riuscii a sgattaiolare non so come oltre il confine e mi misi a correre con le poche forze che mi restavano. Entrato in una zona boscosa, la strada piena di curve rallentava alcuni mezzi di trasporto che scendevano a valle. Con l’aiuto di altri fuggitivi come me fui issato a bordo di una camionetta dove quasi subito mi addormenta io svenni. Dopo non so quanto tempo ripresi conoscenza e mi ritrovai solo ancora sul camion.

Era di nuovo sera e mi resi conto di essere arrivato ad Ala di Trento. Mi sembrò un altro miracolo. Ormai mi considerai a casa. Nei pressi, altri mezzi di trasporto militari erano fuori senza nessun conducente. Nella mia folle incoscienza mi inerpicai sull’ultimo, coperto da un telone, mi trovai così nascosto tra pezzi di ricambio di carri armati (cingoli). Non so dopo quanto tempo la colonna si mise in moto. Io caddi addormentato di colpo. Non so quante ore rimasi in quello stato. Fu una frenata a svegliarmi. Dopo un po’capii che i conducenti erano scesi e s’erano allontanati, Guardai fuori e vidi il mare! Fui colto da paura, scesi sempre accompagnato dal mio angelo custode. Non c’era nessuno intorno. Poi in là, dietro a me, delle colline strane mi dettero il batticuore. Intravidi, alla luce della luna, una montagna strana e già vista in altra occasione. Era la Rocca di Garda!!!

Ormai mi consideravo a casa! Corsi, con le poche forze che ancora avevo e mi inerpicai verso Affi. Poi scesi e con l’aiuto di brave persone, con mezzi di trasporto i più disparati, raggiunsi Bussolengo. Qui, un ragazzo poco più grande di me, mi accompagnò a Verona in moto nei pressi della stazione di Porta Nuova. Da lì a Cerro Veronese, dove i miei cari si erano rifugiati, si può dire, fu una passeggiata!

Dopo una settimana finì la guerra!

Dario Busato


Cartolina postale 01.02.1945 (fronte)

Cartolina postale 01.02.1945 (retro)
Una delle cartoline postali inviate a casa da Dario ai genitori