Dai boschi di Velo a Mauthausen
Trascrizione fedele dell’intervista rilasciata da Aganetti Benito ad una radio locale nel 1978 curata da R. Valle. È stato fatto solo qualche adattamento linguistico necessario per il passaggio dal parlato allo scritto. I fatti e le date riportate corrispondono con i documenti presenti all’Archivio di Stato di Verona.
- Signor Benito ci dice le sue generalità
Sono Benito Aganetti nato a Velo Veronese da una comunissima famiglia di contadini il 6/ 5 /1923
- Ci vuole raccontare i terribili giorni di Mauthausen e come vi è finito
Per prima cosa devo precisare che non sono andato a Mauthausen con il mio nome ma con quello di mio fratello Francesco che godeva di due esoneri militari, ne aveva ceduto uno a me con il quale fui preso, se fossi stato preso con il mio nome sarei stato fucilato subito. Ero conosciuto in zona, il rastrellamento lo avevano fatto proprio per me. Facevo parte della brigata partigiana di Pierobon costituita dal prof. Salazzari, mi catturarono assieme a mio cognato (si tratta di Valle Gugliemo del quale sposerà la sorella nel dopoguerra). Ci presero con l’inganno, vedemmo arrivare un gruppo di persone che pensavamo essere partigiani, erano invece fascisti camuffati da partigiani. Ci portarono nelle scuole di Velo dove ne avevano rinchiusi tanti altri, li ci hanno sottratto i documenti a suon di schiaffi. Visto il mio nome volevano sapere dove fosse Benito. Non rivelai la mia vera identità ne dove fosse mio fratello. Cosi iniziò il mio calvario per Mauthausen.
- Lei dunque decise che la falsa identità era la soluzione migliore
Sì, è stato cosi, anche mio fratello era alla “macchia”, se avessi rivelato la mia vera identità può immaginarsi cosa sarebbe successo.
- Quando avvenne l’arresto?
Era il 22 luglio 1944 verso le ore sei.
- Poi cosa successe?
Fummo portati sempre a suon di botte nella caserma delle brigate nere di Boscochiesanuova. Lì restammo due o tre giorni, sembrava che volessero fucilarne alcuni, poi invece ci portarono in sette-otto a Verona dove ci divisero. Fui abbinato ad un ex carabiniere ed assieme ci tradussero nella caserma delle SS a Castelvecchio. Ci chiusero in una stanza con tre disertori delle SS, erano italiani, destinati alla fucilazione. Subito pensammo che il nostro destino sarebbe stato lo stesso, tanto che il mio compagno pianse per l’intera notte. Noi invece fummo portati nel campo di concentramento di Bolzano mentre loro furono fucilati.
- Con che mezzo siete arrivati a Bolzano e come fu l’arrivo?
A Bolzano ci hanno portato di notte su di un camion assieme ad altri che non ho avuto modo di conoscere perché fummo gettati in un angolo costantemente sotto le armi delle SS. Già il due agosto abbiamo tentato la fuga: eravamo in fila in una caserma e vicini al muro di cinta, saltai su per il muro ed una volta sopra allungai la gamba perché l’altro si aggrappasse, una volta sopra ci accorgemmo di un collaborazionista locale appostato sotto il muro, ci aveva visti e ci puntava contro la pistola. Ritornammo subito dentro e ci reinserimmo nella fila, il sorvegliante intanto ci aveva già denunciati, io fui individuato subito perché avevo lasciato le tracce degli scarponi sull’aiuola, il mio compagno no, tutto il gruppo era terrorizzato perché si aspettava un’altra decimazione, frequenti nel campo. Nel frattempo ne presero un altro che non c’entrava nulla, allora ci consegnammo entrambi. Ci portarono in un capannone, fummo spogliati nudi e legati come maiali e buttati sopra un tavolone. Mi pestarono come una polpetta finché persi i sensi, allora toccò al mio compagno. Poi, rapati zero, con le mani legate dietro, ci portarono fuori e ci appesero ad un muro col sole in faccia, in quella condizione ci restammo dal mattino alla sera, il nostro sangue correva giù per il marciapiede .
- Dopo questa tortura cosa successe
Ci portarono all’interno di un capannone, altre vicende che è meglio non raccontare, dopo due o tre giorni ci condussero fuori nei campi nei pressi di un binario morto, lontani dagli occhi della gente. Ci caricarono su di un vagone bestiame e ci spedirono a Mauthausen. Tre giorni di viaggio senza mangiare e bere, stipati peggio delle bestie.
- Quando arrivaste a Mauthausen?
Era ormai notte, il treno si fermò su di un binario morto, sempre fuori dall’abitato, non si voleva che la gente vedesse. Ci fecero scendere a suon di schiaffi, botte, e calci di fucile nella schiena..
- Signor Benito lei non sta esagerando vero …
no, no, … non esagero proprio niente, anzi ce ne sarebbero altre da raccontare ma andiamo avanti, poi ci misero tutti con la faccia al muro e successivamente in fila per essere condotti al famoso carcere di Mauthausen, non sapevamo dove ci avrebbero portati, mai sulla strada ma sempre per percorsi nascosti alla vista.
- Secondo lei la popolazione sapeva del campo di sterminio?
Non so dire con precisione se sapeva o no, la popolazione sapeva tante cose… non tutti erano d’accordo con quelle cose… so che non si voleva che si vedessero. Per attraversare il Danubio, infatti, avevano costruito una passerella apposita dove passavamo in fila indiana in mezzo a due ali di SS. Molti sapevano la fine che ci attendeva di là dal Danubio, i più consapevoli erano i più vecchi, alcuni, con il chiaro proposito di finirla, si gettavano giù nelle acque del fiume e le SS si divertivano a colpirli come al tiro a segno, uno di questi era in fila proprio davanti a me.
- Dopo il ponte siete saliti al campo, come siete stati accolti
Arrivati ci hanno buttati a ridosso di un muro, proprio dietro ai forni crematori, ma noi non sapevamo che esistessero, io lo ho saputo solo negli ultimi giorni di prigionia. Ci dicevano che li c’erano le cucine perché vedevamo i camini fumare , ma per quel che ci davano da mangiare non potevano fumare sempre.Nel contempo arrivò un altro convoglio, erano tutti slavi , subito li portarono giù dove dicevano esserci le docce. Tra di noi italiani cominciò un certo mormorio “come mai quelli andavano alle docce e noi eravamo costretti all’aperto, praticamente nudi come vermi, sotto la pioggia”? Ben presto ci siamo resi conto della realtà: quella era la camera a gas dove furono freddati tutti, da uno spioncino potemmo vedere l’esecuzione. Il giorno dopo portarono dentro anche noi, prima in uno stanzone dove hanno rapato tutti a zero, poi nella camera a gas che fungeva realmente anche da doccia, la camera era blindata , li ci hanno fatto le docce: prima acqua calda bollente che ti bruciava subito dopo fredda gelata che ti faceva battere i denti. Finito questo trattamento, ci hanno portato in fondo al campo e buttati dentro una vecchia baracca di non più di 15 mq., all’interno qualche pagliericcio e qualche materasso lacero, le SS ci gettarono sopra e ci saltarono addosso con gli scarponi per comprimerci affinché ci stessimo tutti come per inscatolare sardine, si figuri il dolore pieno di ferite e di tumefazioni com’ero, il sangue mi usciva dappertutto. La vita nel campo prosegui più o meno cosi.
- Come si svolgeva la vita nel campo durante il giorno?
Com’era la vita è difficile dirlo, alla mattina ti facevano alzare e ti mettevano in fila sull’attenti, anche per giornate, poi ti davano un po’di sbobba bianca, roba che non è possibile dire cosa fosse, … racconto un po’ di fatti per spiegarmi meglio. I primi giorni ci diedero una specie di salame accartocciato con la carta, noi la carta la buttammo, subito i prigionieri di una baracca di polacchi accorsero per raccoglierla lottando tra loro nel tentativo di accaparrarsene un pezzetto per mangiarlo. Una mattina ci hanno messo in fila di fronte al recinto dei cani, in quel recinto ogni tanto vi gettavano dentro un prigioniero, veniva individuato a piacere di una SS, i cani lo sbranavano sino a che non restava neanche un osso. Un altro giorno fecero prendere un polacco da alcuni suoi compagni, cosa avesse fatto non lo so, poi li costrinsero a conficcargli la testa dentro un secchio d’acqua ed a tenercelo sino alla sua morte. Subito non pensavamo che questa fosse la vita che ci attendeva ma purtroppo capimmo ben presto che la cosa si faceva sempre più tragica e che non c’era più niente da fare.
- Queste punizioni non erano dovute ,erano gratuite.
Sì, sì, non c’era bisogno di nulla per uccidere, anche la semplice guardia era autorizzata ad uccidere a sua discrezione. Pensi che un giorno, nel quale eravamo fuori per riparare i danni di un bombardamento, vidi un prigioniero a terra vicino ad una pozza d’acqua, era stato massacrato con i calci dei fucili, cosa avesse fatto non so ma penso poco, si trascinava con le mani annaspando per terra per raggiungere l’acqua ed annegarsi, come arrivava vicino lo prendevano per le gambe e lo trascinavano indietro, questo durò finché aveva fiato, quando fu evidente che era ormai esanime gli spararono un colpo in testa.
- Ci racconti della cava di pietre e della famosa scala.
Guardi che il campo era già stato costruito da tempo, le pietre estratte dalla cava non servivano per costruire il campo, qualcosa hanno usato ma molto poco, la cava serviva per torturare la gente!Una parte di prigionieri portava le pietre su per la scala, un’altra parte le portava giù con un avanti indietro infinito, la scala aveva più di cento scalini tutti irregolari fatta di pietre messe li in qualche modo, salire per quella scala con una pietra pesante a spalle era uno sforzo enorme ed una tortura continua, ogni tanto qualche pietra cadeva giù e rotolando per la scala spezzava gambe, lacerava corpi, spesso uccideva. La scala serviva per torturare ed uccidere con sofferenza.
- Agli italiani prigionieri a Mauthausen sono stati praticati esperimenti medici?
Di questo posso sapere poco, perché noi giovani, io avevo 21 anni, siamo stati isolati dal resto del campo, servivamo per fare le riparazioni ai danni causati dai bombardamenti degli alleati, eravamo più forti quindi potevamo resistere di più. I più vecchi li hanno usati in tutti i modi, eravamo in circa tremila ne sono sopravvissuti si e no 11-12, di tutti gli altri non ho mai saputo più nulla, arrivati a Mauthausen ci hanno divisi, sparpagliati.
- La raccolta dei lamponi esisteva realmente?
Si è vero, mandavano fuori delle squadre a fare la raccolta dei lamponi o delle patate, molti in mezzo ai boschi si illudevano di poter tentare la fuga, ma ad ogni fuga sguinzagliavano i cani che pensavano a finirli sbranandoli, le SS sparando.
- Quando ha saputo dei forni crematori?
Sono sincero lo ho saputo solo negli ultimi giorni, comunque si sospettava di qualcosa.
- Com’era la recinzione del campo c’era l’alta tensione’?
Non solo c’era intorno a tutto il campo, ma c’erano recinti con l’alta tensione anche da baracca a baracca, le recinzioni intorno al campo erano ben tre con sopra i camminamenti per le guardie ed i cani, non c’era possibilità di fuga, da Mauthausen non poteva fuggire nessuno.
- Cosa ci può dire delle pareti dei paracadutisti.
Io non ho visto buttare giù paracadutisti dalle pareti, ma le pareti nella cava esistevano e sapevamo che avvenivano fatti del genere.
- E’ vero che vi schieravano nudi d’inverno in mezzo al cortile e vi bagnavano per testare la resistenza al freddo ed al ghiaccio”?
E’ vero lo facevano, ma guardi che cose di questo tipo me le hanno fatte anche a Bolzano prima di partire. Sotto l’acqua gelata non ci sono mai stato, ma sotto la pioggia fermo in mezzo al cortile sì. Sapevamo che questo avveniva ma non vedevamo quello che facevano, che vuole ogni tanto prelevano qualcuno dalle baracche a caso e costui non tornava più.
- Tra voi c’era una qualche organizzazione?
Non c’era niente da organizzare, non si poteva fare nulla, si poteva scambiare qualche parola di nascosto, se ti vedevano parlare con qualcuno erano botte in testa, eravamo ridotti a niente ,noi eravamo niente, le SS ti dicevano apertamente che attendevano solo l’ordine di ammazzarci tutti.
- Cos’era che vi sosteneva?
Non saprei … ci si vedeva come dentro un labirinto senza uscita, in quel posto l’uomo non valeva nulla, eravamo niente, … assolutamente niente.
- Ha mai notato nelle SS qualche segno di umanità?
Le SS di guardia internamente al campo di Mauthausen non erano tedesche, provenivano dalla Spagna, forse reclutate ancora nella guerra civile, dall’Ucraina, dalla Mongolia reclutate tra la delinquenza con la promessa della libertà, erano feccia umana, non ho mai notato in loro il minimo segno di umanità, qualsiasi bestia non poteva arrivare a tanto, uccidevano e tormentavano.
- Lei è tornato a Mauthausen recentemente?
Sì sono tornato con mia moglie.
- Cosa le è accaduto quando è tornato là.
Può immaginarsi … sono andato a vedere il posto dove ero arrivato, ma poi mia moglie è dovuta uscire perché non ce la faceva a reggere la visione di quei luoghi … lei aveva più paura di me.
- Ma lei è poi fuggito da Mauthausen, come?
Eravamo a Linz a riparare una linea ferroviaria, improvviso arrivo un altro bombardamento, sui binari era fermo un treno di ammalati, la confusione era tanta ne profittai e salii sul treno, mi sostituii ad un morto e ne presi i documenti , uno mi diede una giacca e un paio di pantaloni mi infilai il tutto in fretta e furia e mi misi al posto del morto. Il treno ripartì e dopo un altro bombardamento a Salisburgo giunse a Innsbruck, da li mi feci tutto il tragitto fino a Velo a piedi o con i mezzi che riuscivo a procurarmi, troppo lungo sarebbe il raccontarlo. Eravamo intorno al venti aprile del 1945, ero un cadavere, forse non pesavo neanche 45 chili.
- Ci vuole lasciare non dico un messaggio ma un appunto.
Non saprei cosa dirvi … dalla mia esperienza penso la gente capisca ascoltando … questo non deve succedere più.
- Lei ha perdonato?
Non ritornerei mai più indietro, se dovessi rivivere quel che ho vissuto mi suiciderei … se dovessi attraversare ancora quella passerella mi butterei nel Danubio anch’io.
- Scommetto che lei ha perdonato.
Cosa vuole nella vita bisogna perdonare … ma non si può perdonare tutto, forse non mi so spiegare ma che ci sia oggi della gente che la pensa ancora il quel modo … questo proprio no.
Dicembre 2019 – Renzo Valle
